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PrisencolinensinainciusolQuasi un anno fa, Cory Doctorow ha condiviso un video di Adriano Celentano in Prisencolinensinainciusol su BoingBoing, rendendo il molleggiato popolarissimo oltreoceano e dando vita ad un dibattito durato mesi, con centinaia di commenti.

Al simposio di Sydney sulla traduzione letteraria lo scorso ottobre, con mia grande sorpresa, Esther Allen raccontava del fenomeno a Olivia E. Sears. E ovviamente mi sono subito unito al dibattito, piuttosto sorpreso e divertito all’idea che quell’impertinente quanto travolgente canzone registrata quasi trent’anni fa potesse suscitare un dibattito fra studiosi della traduzione. Tuttavia mi sono rapidamente reso conto che in effetti il pezzo è un’ottima scusa per porsi alcune questioni linguistiche.

Naturalmente lo si può prendere come un divertissement senza pretese, oppure considerarlo un pezzo sull’incomunicabilità, come ha detto lo stesso Celentano.

Da musicista dilettante, so bene che l’italiano ha parole troppo lunghe e manca di parole tronche, e di conseguenza è tutt’altro che ideale per il rock ‘n’ roll.

Comunque la si voglia vedere, dietro il finto inglese di Celentano è facile individuare anche un rapporto di potere sbilanciato fra lingue e culture. Si tratta di un fenomeno che è nato ben prima di Prisencolinensenainciusol, basti pensare a Un americano a Roma (1954):

Soprattutto, il fenomeno va certamente al di là delle questioni meramente fonetiche. Sin dalla fine della seconda guerra mondiale, con il sempre crescente predominio culturale del mondo anglofono sull’Europa moderna, l’inglese ha rappresentato per generazioni di giovani modernità e progresso. Gli europei lo usano spesso per sembrare più cosmopoliti, meno provinciali. Qualcosa di simile, su scala più piccola, avviene, ad esempio, per l’italiano e il francese, usati molto spesso nei paesi anglosassoni per dare lustro ai prodotti alimentari o di abbigliamento.

Un’altra conseguenza interessante dell’articolo su BoingBoing è stato l’emergere di almeno due video nei quali si cerca di dare un senso al nonsenso, con sottotitoli che cercano di approssimare il farfugliare di Celentano ad un inglese più o meno plausibile. Non c’è bisogno di sottolineare che ne sono nati dei versi alquanto originali:

Ovviamente non ci sono dubbi sul fatto che Celentano semplicemente scimmiottasse l’inglese (e l’estetica impossibilmente cool del rock ‘n’ roll) senza dire nulla di sensato, così come Kramer’s scimmiotta l’italiano e l’opera in Seinfeld:

In ogni caso torniamo alle domande che ci siamo posti a colazione con Esther e Olivia: cosa dobbiamo vedere in Prisencolinensinainciusol? Un semplice scimmiottare senza pretese? Addirittura una presa in giro, magari? Oppure la preoccupante conseguenza di un imperialismo culturale che porta a sforzi quasi grotteschi di colmare il divario fra dominatori e dominati, spazzando via identità culturali e nazionali? Non c’è una risposta facile, e molto probabilmente si tratta del solito mosaico di fattori, ma si tratta senza di un dubbio di un dibattito interessante, e l’idea che sia sorto da un video del Molleggiato dimostra ancora una volta che le questioni linguistiche non sono soltanto noiose minuzie per pochi addetti ai lavori.

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È di nuovo il momento di un altro divertissement linguistico senza troppe pretese. Ho sempre trovato interessante la piccola analisi che segue, dato che si tratta un caso di stereotipi piuttosto grossolani che vengono rafforzati non dall’esterno, bensì dall’interno delle rispettive comunità di parlanti. Sto parlando di come le quattro lingue che parlo esprimono – con frasi idiomatiche ben cristallizzate – l’idea che un dato argomento debba restare fuori dalla sfera d’interesse dell’interlocutore, per così dire…

Per cui, un anglofono userebbe il caro vecchio

“This is none of your business.” ossia “Non sono affari tuoi.”

Laddove chi parla francese probabilmente si servirebbe della frase

“C’est pas tes oignons” che tradurrei con “Non sono mica le tue cipolle.”

È bellissimo scoprire che i tedeschi invece userebbero un’altra espressione ancora:

“Das is nicht dein Bier” che vuol dire “Non è mica la tua birra.”

Veniamo a noi italiani. Fortunatamente in situazioni formali adottiamo l’anglosassone “affari”, ma la realtà è che in qualsiasi contesto colloquiale diremmo

“Non sono cazzi tuoi.”

Certo, ci sono le opzioni più accettabili come “affari” o “cavoli” ma c’è bisogno di uno sforzo notevole, visto che l’italiano colloquiale tende ad essere più elastico nell’uso di certe parole, rispetto alle altre lingue analizzate.

In sostanza, pensando a queste quattro espressioni, mi è sempre sembrato ironico che i quattro stereotipi – l’inglese dedito al business, il tedesco bevitpre di birra, il francese mangiatore di cipolle e l’italiano erotomane – vengono rafforzati qui non dall’odio o dal razzismo altrui, bensì dalla stessa comunità vittima dello stereotipo in questione.

Qualcuno conosce altri modi interessanti per esprimere questo concetto in altre lingue? Sono curioso di scoprirle nei vostri commenti.

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