La settimana scorsa, il Movimento No Peanuts!, che questo blog è orgoglioso di sostenere, è stato citato in un articolo sul Translation Guy Blog. Mi piaceva anche, quel blog, quindi ero abbastanza entusiasta di vedere il titolo del post sulla mia pagina iGoogle, e ho pensato con piacere che la cosa si stesse diffondendo.
Sfortunatamente non era questo il caso. Quel che ho trovato è stato invece uno sforzo particolarmente fiacco di liquidare l’intero movimento come poco più che un cartello di traduttori avidi e poco realisti, con tendenze anacronistiche. Ho lasciato un commento, facendo notare con educazione quelle che mi parevano argomentazioni piuttosto deboli, ma il commento non è mai stato approvato. Credo che la stessa sorte sia toccata al commento di Wendell Ricketts, e probabilmente ad altri. Sulla pagina c’è un solo commento, che casualmente fa i complimenti per “l’ottimo articolo.”
Essendo Wendell Ricketts il creatore del blog No Peanuts!, tuttavia, sarebbe stato decente lasciarlo almeno replicare con un commento. Bloggare dovrebbe significare proprio questo, no? Interazione, libero flusso di idee, confronto fra argomentazioni diverse. Soprattutto, se uno viene tirato in ballo, vorrebbe almeno avere una chance di replicare, o no? Non in questo caso. Ah, ma aspettate. Ken Clark, auto-proclamatosi Translation Guy, è prima di tutto il proprietario di una gigantesca agenzia di traduzione. Adesso cominciamo a vederci chiaro.
Visto che il mio commento non è stato approvato, e che avevo qualcosa da dire sull’argomento, non posso far altro che trasformare quel commento in post. Vorrei soltanto analizzare alcune passaggi. Prendiamo questo, per esempio, un tentativo poco felice di paternalismo:
Ready to throw down your chains, translation workers? Here’s how to do it: Hold the line on your pricing, and tell your clients why. Take back control from the mega-agencies, and don’t bid cheap. Boycott the bad guys, and tell others about them. Don’t be reduced to servitude, and keep the scabs from scabbing. And don’t panic.
Whoops. Too late on that last one, because the whole site just screams “panic” to me. Sorry, guys. […] The great wheel of commerce crushes all in its path.
Panico? Quale panico? No Peanuts! for Translators si limita a promuovere pratiche migliori, che giovano tanto ai traduttori quanto ai clienti. Dall’altra parte, denuncia le pratiche auto-distruttive diffuse nel nostro settore. Niente panico, tanto che siamo ben lieti di rifiutare offerte offensivamente basse. Per dirla col gergo giovanile, siamo in polleggio pieno, cioè. Ovviamente, come abbiamo detto, questo signore gestisce un’agenzia, quindi da un certo punto di vista ha senso che ignori il punto fondamentale del discorso – ovvero che le agenzie sono un intermediario, e tagliarle fuori può spesso rivelarsi vantaggioso sia per il traduttore che per il cliente. Andatevi a leggere l’ottimo articolo in cui Wendell Ricketts spiega precisamente come e perché. E poi, tentare di liquidare un intero movimento e le sue idee ben argomentate con una vago e paternalistico riferimento al “panico” non risulta molto credibile. Il Translation Guy può fare di meglio.
Beh, insomma, più o meno. Bisogna dargli atto che riconosce le nostre ragioni etiche, ma la cosa finisce lì:
the “No Peanuts!” guys have justice and human dignity on their side. Meanwhile, someone else is banging away on the iron triangle of service, beating out “better, faster, cheaper; better, faster, cheaper.”
Questo mantra del “better, faster, cheaper”, ovviamente, è soltanto fumo negli occhi, roba da piazzisti. Credo sia un fatto che un servizio o è migliore, oppure è più rapido e più economico. E non solo nella traduzione, pensiamo all’abbigliamento, al cibo, alle auto, ai trattamenti medici, e più o meno a tutto quel che si può comprare. Ed è qui che arriviamo al nocciolo della questione. Il Movimento No Peanuts! ha a cuore la qualità. La qualità del servizio,e la qualità della vita. Il Tizio della Traduzione, in tutto il post, non menziona mai la qualità, il che è bizzarro, e al contempo dimostra quel che andiamo dicendo sulle agenzie. Poi, però, più avanti, questo signore si supera:
watch out for that scab translator #260 under that rock over there because she is figuring out how to climb aboard the great commercial juggernaut on terms that pay for her, if not for you. And if she passes on that one, translator #22666 on PRoZ will take it, and the translation provided, for good or ill, might just fit the bill.
Credo davvero che l’argomento “se non lo fai tu lo fa qualcun altro” sia trito e ritrito, praticamente una pasta, e soprattutto non tenga conto di concetti come professionalità e qualità. Sarebbe come andare da un’agrihamburgeria e dire “Ehi, non puoi mica mettere i tuoi hamburger chic a 5 euro, guarda che McDonald’s li mette a 1 euro, e se non abbassi i prezzi finisce che chiudi bottega! Così va il mercato!” Sapete una cosa, però? C’è gente a cui sta a cuore la qualità. Per usare un’altra metafora ancora, c’è gente che sceglierà il completo di Armani anziché uno meno caro, perché, sebbene il fine ultimo sia di non andare in giro ignudi, l’Armani cade meglio, sta meglio, e dura di più. E poi, se lo si mette al lavoro, si fa tutt’altra figura, il che è sua volta un bel biglietto da visita. Non vedo perché lo stesso principio non debba applicarsi al nostro settore.
Infine, l’autore dell’articolo condivide una “storiella triste”, apparentemente
in an empty gesture of solidarity with all you translators who want to make as much money as you used to
E cosa sarebbe adesso, questa storia dei traduttori che vogliono continuare a fare tanti soldi come prima (che, per inciso, sarebbero assai pochi)? è veramente di questo che stiamo parlando, o stiamo parlando piuttosto di grandi agenzie che cominciano a preoccuparsi di non riuscire più a fare i soldi che fanno adesso una volta che i loro clienti si renderanno conto che gli conviene rivolgersi direttamente al traduttore?
AGGIORNAMENTO (27/07/2010): i commenti al post sul Translation Guy blog sono finalmente apparsi. Ken Clark si è scusato per l’inconveniente.
Foto: dettaglio da The Three Wise Monkeys – George Street, di Charlie Brewer
[…] c’è un solo commento, che casualmente fa i complimenti per “l’ottimo articolo.” <<La lettura continua sul blog Smuggled Words.>> This entry was posted in Notes from No Peanuts!, Resistance, Respect. Bookmark […]
Grazie Giuseppe!
E di che? Grazie piuttosto a te e al sorprendente numero di persone che hanno visitato il blog in poche ore! Fa piacere vedere che, anche qualora fossimo tutti dei Don Chisciotte, siamo decisamente in tanti.
A presto!
Francamente, non so come si possa eccepire alcunché contro il movimento “no peanuts”. La qualità del prodotto-traduzione dovrebbe stare a cuore a tutti (compreso il tizio che dirige la mega-agenzia). E infatti, puntella le sue magre motivazioni (il massimo che gli riesce è il nichilista “così vanno le cose”) con dell’ironia di quart’ordine (“così vanno le cose, poveri illusi”). Ma il punto è che il mondo non è mai stato cambiato da chi diceva “così vanno le cose”. E fortunatamente -il Tizio della Traduzione non lo sa- il mondo cambia, sempre, basta volerlo.
Grande Giuseppe. Sottoscrivo in toto, ovviamente. Duole dover ammettere che “ironia di quart’ordine” è splendidamente calzante! 🙂 Il punto, fra l’altro, è che magari il mondo non si cambierà – solo – con i principi e con i bei sentimenti, ma va ribadito che, oltre alla “dignità” e alla “giustizia sociale” che nella sua magnanimità financo il Tizio riconosce dalla nostra parte, dalla nostra parte abbiamo anche fattori squisitamente razionali ed economici, il che – ahimè – aiuta sempre. In ogni caso, zero noccioline, grazie.
Grazie della visita, un abbraccio!
Premetto che ho avuto un solo scambio di mail, tanti anni fa, con Ken Clark, a.k.a. Translation Guy, e rimasi colpito (non in positivo) dalla sua fredda imprenditorialità.
Ciononostante, alcuni argomenti del tuo post mi paiono deboli.
> Il Tizio della Traduzione, in tutto il post, non menziona mai la qualità, il che è bizzarro, e al contempo dimostra quel che andiamo dicendo sulle agenzie.
Una volta tutti i miei preventivi facevano leva sulla qualità (del servizio, della traduzione eccetera). Ma poi col tempo, crescendo quella che io soggettivamente considero la qualità complessiva del servizio che offriamo, mi sono reso conto che ottenevo risultati molto superiori semplicemente non menzionandola. Ovvero, io do per scontato che i lavori che escono da T&t sono di qualità (definita secondo i miei canoni), per questo motivo non ne parlo e non lo considero un argomento di vendita o di discussione. Quello che faccio è di qualità, e basta. Il punto di vista di Clark potrebbe essere anche partire da basi differenti, ma in sé la parola “qualità” non significa molto.
Altra cosa, il tono da caccia alle streghe, che un tempo mi infastidiva, oggi mi fa sorridere. Trovo questo atteggiamento di “noi vs. loro” del tutto fuori luogo. Io ammiro i traduttori italiani che lavorano solo con agenzie estere e/o con clienti diretti, ma questo non significa che ci siano tanti altri professionisti che hanno compiuto scelte differenti, né significa che i committenti di questi ultimi professionisti siano per forza degli sfruttatori.
Ho dato una sguardo anche all'”ottimo articolo” (così viene definito) di Wendell che citi. Quando io ero poco più che agli inizi di questo mestiere (dieci anni fa, ai tempi della New Economy), la parola d’ordine del settore era “disintermediation”. Oddio! – pensavo allora -, rimarrò presto senza nulla da fare. Gli anni sono passati, il panorama è mutato completamente ma il concetto di “agenzia” non è sparito, né credo che possa sparire a breve. Insomma, in alcuni casi è sicuramente preferibile lavorare direttamente con un traduttore, in altri certamente no: il mondo è variegato e c’è posto per tutti.
Benvenuto Gianni, grazie della visita e del contributo. Mi è capitato di seguire il tuo blog, ma, ammetto, di sfuggita.
Ovvio che in un preventivo la parola qualità sia ridondante, anche secondo me dovrebbe essere scontata e sottintesa. Quindi, che non diventi un argomento di vendita (insieme a professionalità, affidabilità e quant’altro) siamo del tutto d’accordo. Ma non era a quello che mi riferivo quando parlavo di qualità. Parlavo del fatto che Ken Clark ignora volutamente che quando le agenzie pagano troppo poco (sono certo che non sia il tuo caso, ma converrai con me che sono la maggioranza) è proprio la qualità ad essere sacrificata: se il traduttore vuol campare dovrà fare in fretta. D’altra parte, invece, eliminando la cresta che rimane all’agenzia è probabile che il cliente paghi meno e che al contempo il traduttore prenda di più, potendosi così permettere di passare più tempo sulla traduzione, e ottenendo di conseguenza un risultato qualitativamente migliore. Mi pare che – questo sì – significhi molto.
Il tuo secondo paragrafo, senza offesa, mi ha molto deluso. Mi sembra che parli di “caccia alle streghe” così come il Tizio parla di “panico”. Dove l’hai visto questo “tono da inquisizione”? “Noi vs. loro”?!? Io mi sono limitato a far notare che – in molti casi, ovviamente non in tutti – l’agenzia è un intermediario che alza il prezzo per il cliente e abbassa il compenso per il traduttore. Poi, ripeto, per fortuna non si tratta di una costante universale. Nessuno ha emesso una fatwa contro tutte le agenzie. Un’agenzia può persino aderire in toto alla filosofia del Movimento No Peanuts!, che si può riassumere nella determinazione dei traduttori ad ottenere una paga adeguata al lavoro svolto. Quindi, Gianni, di grazia, di che stiamo parlando?
L’ottimo articolo di Wendell (immagino che il tuo virgolettato ne metta in discussione il valore, ma ovviamente non siamo d’accordo) cita una serie di ragioni per cui il mito dell’agenzia è appunto solo quello, un mito. Poi, come dici tu, c’è spazio per tutti, e se un’azienda deve tradurre una pagina di istruzioni per un prodotto in cinquanta lingue, probabilmente risulterà più pratico rivolgersi a un’agenzia che non contattare cinquanta traduttori e aspettare i preventivi, eccetera. Tuttavia, come anche tu riconosci, in molti casi lavorare direttamente con il traduttore sembra la via più logica. Perché, nonostante la “disintermediation” non sia certo un annichilimento del concetto di intermediario, va detto che si tratta comunque di una tendenza comune a molti ambiti professionali. Il servizio di intermediazione di un’agenzia fra cliente e traduttore, nel momento in cui il traduttore ha un sito internet visibile quanto quello di un’agenzia, e usa le stesse tecnologie per lavorare, non è più così necessario. Salvo i casi di cui sopra. Così come l’operaio metalmeccanico ha dovuto accettare che l’industria pesante era in crisi e riconvertirsi a qualcos’altro, la stessa sorte potrebbe toccare a molti di quegli intermediari che vedono il proprio ruolo diminuire di importanza. Come dice il Tizio, è la grande ruota del commercio. Altri invece continueranno a svolgere quel servizio, e tutto quel che mi auguro (insieme a tanti No-Peanutisti) è che lo facciano nel rispetto della professionalità dei traduttori, tutto qui.
Infine, visto che in premessa parlavi di argomenti deboli, non posso fare a meno di notare che in tutta questa discussione la prima argomentazione concreta che spiega nel merito perché in certi casi possa essere più conveniente lavorare con un’agenzia, l’ho dovuta tirare fuori io. Ken Clark nel suo post si limitava a maldestri tentativi denigratori. Tu hai preferito evocare lo spettro della caccia alle streghe. Perché?
Grazie ancora della visita e del commento, graditissimo in quanto di stimolo alla discussione, nonostante si possa essere in disaccordo.
Cordialmente
Ciao Giuseppe, e grazie per l’articolata e cortese risposta, pur nella diversità di opinioni.
Tu dici: “Quando le agenzie pagano troppo poco”. Ecco, questo secondo me è un punto debole, perché il cliente non stabilisce il prezzo di un bene o un servizio. Piuttosto, il venditore dispone e il cliente ha ovviamente facoltà di rilanciare. Ma la logica del prezzo stabilito dal cliente è contorta e inaccettabile. E quindi, quando dici:
> se il traduttore vuol campare dovrà fare in fretta,
io penso piuttosto al traduttore che si alza dal tavolo delle trattative e se ne va.
Il concetto di “cresta” – le parole sono importanti – è uno tra gli esempi tipici, a mio parere, del “noi vs. loro” di cui dicevo.
L’articolo di Wendell, che tu definisci “ottimo”, contiene una serie di luoghi comuni che – a mio modesto parere – non rendono un buon servizio al traduttore: discreditare una categoria non è esattamente la strada per farsi benvolere, è piuttosto una scorciatoia – ma che non porta lontano.
La disintermediation è una tendenza, dici. Certo, ma lo era già dieci anni fa, e in che cosa ti pare diverso il mercato? Evidentemente non è tutto qui, non è così semplice: anch’io sono per la disintermediation, ma semplicemente ci sono dei casi – tanti, tantissimi, più che tantissimi – in cui l’agenzia non è sostituibile (altrimenti sarebbe già morta e sepolta). Il tipo di agenzia di cui parli tu corrisponde in sostanza a quella che io nel mio libro definisco “passacarte” (senza inventare il termine, chiaro); ma io sto parlando di aziende serie e sane, non di filibustieri.
Ciao e grazie
Gianni
Ciao Gianni, figurati, è sempre un piacere confrontarsi.
Va da sé che mi trovi del tutto d’accordo nel ritenere contorta e inaccettabile la logica del prezzo stabilito dal cliente. Fra l’altro, il suo rifiuto è uno dei capisaldi dei No Peanutisti. Per quante aziende serie e sane ci siano, però, mi sembra ovvio che il problema viene da certe agenzie, ma sicuramente non dai traduttori. Non è questione di scontri frontali, è questione di capire la situazione al di là degli equilibrismi.
Io con le agenzie non lavoro quasi mai, un po’ per scelta, un po’ perché finora non ne ho avuto bisogno. Però facendo un giro su ProZ e parlando con i colleghi è evidente che la pratica è purtroppo diffusissima. Lungi da me dire che tutte le agenzie si comportano in questo modo, ma quelli che tu chiami “passacarte” sono tanti, troppi, e troppo rispettati. Tu conosci il mercato e l’industria molto meglio di me, ma persino a me sembra innegabile. Vedi questa allucinante offerta (che forse qualcuno avrà accettato). Poi ci sono addirittura certi traduttori che si rifanno sui colleghi, e non esito a denunciarlo, con forza ancora maggiore, sia chiaro.
Un appunto di realismo sul traduttore che si alza e se ne va (guarda caso, ancora una volta il consiglio di No Peanuts!), guardiamoci negli occhi, un giovane traduttore, inesperto e poco scafato, può senz’altro alzarsi dal tavolo delle trattative e andarsene, però in una realtà come quella italiana non tutti hanno lo stomaco per farlo, e i meno sicuri di sé, o i meno fortunati, finiranno con l’accettare a malincuore per racimolare almeno quei pochi euro e tirare avanti.
Riguardo il concetto di “cresta” – esatto, le parole sono importanti – mi dispiace, ma secondo me descrive alla perfezione l’attività di tante agenzie poco serie (e a sentire in giro, sono proprio tante).
Passando alla disintermediation, non sono sicuro che i casi in cui l’agenzia risulta insostituibile siano “più che tantissimi”. Sicuramente ce ne sono. Ma il tuo argomento “altrimenti l’agenzia sarebbe già morta e sepolta” mi sembra un po’ semplicistico, nel senso che molto spesso un sistema si auto-perpetua più per ragioni squisitamente umane – e anche comprensibili, per carità – in questo caso il conservatorismo del cliente – che sapendo poco di traduzione tende a fidarsi dell’agenzia vecchio stile- e alla sua ignoranza – quando ad esempio pretende anche di dire al traduttore quali programmi usare, passandogli magari memorie di traduzione assurde ed esigendo che vengano usate). Insomma, se mi passi il parallelo, non c’è ragione logica per cui la pubblica amministrazione italiana, ad esempio, debba funzionare ancora con bolli, carte, papiri e pergamene, si tratta semplicemente di metodi obsoleti a cui però siamo abituati, che in un certo senso funzionano, e per cambiare i quali è necessario un certo sforzo. Secondo me il concetto di agenzia rimane valido, a volte il cliente ha determinate esigenze che un’agenzia può soddisfare meglio. Credo però che questo si verifichi assai più di rado di quanto sostieni tu. Il concetto fondamentale, comunque, è che se accettano di pagare decentemente – la “living wage” di cui si parla su No Peanuts! – ben vengano le agenzie serie e sane. Ce n’è un gran bisogno, e vanno incoraggiate, ovviamente. Sta a loro ostracizzare e mettere fuori gioco le agenzie che invece non lo sono.
Ed è questo il punto fondamentale, che mi lascia un po’ stranito. Mi pare ci sia una percezione distorta del movimento e delle sue rivendicazioni. Nessuno sta invocando la vernichtung delle agenzie – dai un’occhiata al blog. Mi citi due punti (1.prezzo fissato dal traduttore, trattabile nei limiti della decenza 2. Alzarsi e andarsene di fronte alle offerte indecenti) che, legati al concetto di “living wage”, costituiscono la ragion d’essere di No Peanuts, che per come lo vedo io non è intento ad aizzare tutti i traduttori contro tutte le agenzie, bensì si limita a promuovere pratiche e standard che farebbero bene non soltanto ai traduttori, ma alla credibilità di tutto il nostro settore. L’unico “Noi vs. Loro” qui è fra persone serie e sfruttatori. Non sarebbe allora il caso dedicare più tempo e più energia a prendere le distanze da quelli che tu giustamente chiami filibustieri (perché non possiamo ignorare che a sfruttare sono certe agenzie), e che fanno pessima pubblicità alla tua categoria, anziché far le pulci a chi porta avanti istanze con le quali invece – nonostante il disaccordo su un articolo specifico – ti trovi in gran parte d’accordo?
Grazie del contributo, a presto
Ciao Giuseppe,
spunti molto interessanti. Ti ringrazio.
Il problema viene da certe agenzie, dici. D’accordissimo. E allora lasciamole perdere, no? Come le offerte scandalose: mica possiamo pretendere di eliminarle dal mercato – ci saranno sempre e comunque –, ma possiamo decidere di ignorarle.
L’agenzia vecchio stile è morta o morente, su questo siamo d’accordo. ma l’agenzia in sé non è sostituibile per tutti i progetti grandi e complessi: penso alla localizzazione multilingue di grandi siti ad esempio, che richiedono competenze tecniche, linguistiche eccetera che vanno ben al di là della capacità di un singolo o anche di un gruppo di traduttori.
Dici ancora: “Sta a loro [le agenzie “serie”] ostracizzare e mettere fuori gioco le agenzie che invece non lo sono”. No caro Giuseppe, questo è uno scarico ci responsabilità che non può accadere. Ovvero: il traduttore in gamba – non solo “bravo” traduttore, ma esperto di marketing, che conosce il proprio valore e così via – può mettere da sé, sic et naturaliter, fuori gioco il passacarte. Non può pretendere che un’agenzia faccia “opera di moralizzazione” (come? in virtù di cosa?).
Sul fare le pulci: le agenzie “filibustiere” non hanno interesse a leggere quello che tu, io e altri scriviamo. Io intervengo laddove sento di avere degli argomenti da mettere sul tavolo, perché troppo spesso colgo nei traduttori (non tu certamente, ma è un sentire diffuso) un sentimento di rabbia (giustificata), che però si sposa non ad un fare qualcosa per cambiare ma nel denunciare e attendere che qualcuno, là fuori, si muova. Cosa che non succederà in ogni caso. Ed è per questo che anch’io mi arrabbio ed espongo le mie ragioni, che vogliono anche essere un messaggio di speranza e un invito ad agire.
Ciao e grazie
Gianni
Ciao Gianni,
la fai facile, tu. Un traduttore inesperto, ripeto, non sempre potrà permettersi di ignorare le offerte scandalose, e nel momento in cui si leggono in giro articoli che legittimano certe pratiche o le danno per inevitabili, e blog seguitissimi, come quello di Ken Clark, che tentano di schernire chi vi si oppone, io ritengo sia non solo utile, ma anche doveroso mettere i proverbiali puntini sulle i. E, qualora necessario, sputtanare chi di dovere.
La localizzazione multilingue di grandi siti mi sembra un esempio perfetto di caso in cui l’agenzia risulta la scelta più logica, ovviamente. D’altro canto per la traduzione di un testo – specialistico o letterario che sia – da una lingua ad un’altra, conviene il contatto diretto tra cliente e traduttore freelance specializzato. Come dici tu, c’è spazio per tutti, ma visto che quindici anni fa un freelance non aveva una visibilità paragonabile a quella odierna e le condizioni di mercato sono cambiate, i freelance si premurano di farlo sapere ai clienti (un po’ come vodafone, wind e 3 che ti chiamavano con le offerte dopo la liberalizzazione: magari all’inizio pensi “che vuole, questo?” ma capita anche che alla fine risparmi). Per questo apprezzo l’articolo di Wendell su cui tanto divergiamo.
Poi, onestamente, io faccio tutto il possibile per mettere fuori gioco i passacarte, e ci metto la faccia, quindi parlare di “scarico di responsabilità” mi sembra del tutto fuori luogo. Non si tratta di scaricare le responsabilità, quanto piuttosto di prendersele. Se un mio collega sputtana la categoria, io faccio in modo di prendere le distanze e di mettere in chiaro che non la rappresenta o non dovrebbe rappresentarla. Allo stesso modo, se un proprietario di agenzia (seria) si limita ad ignorare i colleghi che non rispettano l’etica professionale, senza invece denunciarne le pratiche, direi che poi non si può lamentare se, nella percezione comune, viene accomunato ai suoi colleghi poco seri. Insomma, non si tratta di “moralizzazione” ma di semplice etica professionale e di rispetto per la propria categoria e per il proprio settore.
Infine, quel poco che scrivo non lo scrivo per le agenzie “filibustiere”, bensì – oltre che per i colleghi – per eventuali clienti, e per un pubblico che sa troppo poco di questo lavoro. Certo, non è detto che mi diano retta, ma di certo hanno qualche interesse in più a leggere. Non potrei essere più d’accordo invece sulla tradizionale passività della categoria e sul bisogno di agire per cambiare le cose, o se non altro andare oltre le semplici lamentele vittimistiche, perlomeno con qualche analisi critica, qualche proposta, per quanto umile. Si tratta di una delle ragioni per cui ho aperto questo blog, e per lo stesso motivo sostengo il Movimento No Peanuts!. Che non è una religione, grazie al cielo, e si può criticare e migliorare, ma che rappresenta comunque un elemento di novità, se non altro per me che ho iniziato solo quattro anni fa a fare questo lavoro. Non mi aspetto la luna, ma credo che ogni segnale di rifiuto di quelle pratiche che entrambi definiamo inaccettabili sia da incoraggiare, contribuendo a rendere la discussione sempre più proficua.
Grazie ancora dei numerosi spunti. A presto.
GMB
Ciao Giuseppe,
solo due osservazioni, sul resto mi sembra che non ci sia molto da aggiungere.
1. Scarico di responsabilità: non certamente tuo – mica ti conosco! chi sono io per giudicare? –, intendo dire da parte di troppi traduttori.
2. Le mie lamentazioni nascono dal fatto che ho tanti amici tra i traduttori, e le agenzie poco serie non mi interessano. Passo oltre, come secondo me dovrebbero fare i traduttori.
Ciao
Gianni
Ciao Gianni,
sì, direi che la discussione pian piano si sta esaurendo. Peccato, stavi diventando il mio appuntamento fisso della mattina!
1. siamo d’accordo, ma, secondo lo stesso principio, io parlavo per me, non conoscendo gli altri. Però la percezione di un certo fatalismo c’è, ed è per questo che appoggio No Peanuts! e il tentativo di attivarsi per cambiare le cose.
2. su questo dovrei ripetere quel che ho detto prima. Posso anche appoggiare la tua strategia dal punto di vista personale, di un legittimo ma pur donabbondiano quieto vivere. Però poi non dovresti stupirti delle conseguenze. Non mi pare così sorprendente che le agenzie nel loro complesso siano percepite in un certo modo, nel momento in cui i proprietari di agenzia seri volano bassi bassi e lasciano giocoforza il palcoscenico ai cialtroni. Certo, se i traduttori ignorassero suddetti cialtroni le pratiche esecrabili di certe agenzie rimarrebbero fra gli addetti ai lavori. Chi le denuncia, invece, spinge le agenzie a qualificarsi, a dimostrare la propria serietà, a prendere le distanze e a mettere dei paletti. Esattamente quello che hai fatto tu in questa discussione. E a me sembra che, sulla lunga distanza, una scrematura fra persone serie e cialtroni (dato che il mercato non sempre risponde alla mano invisibile di Adam Smith, e non sempre premia il migliore) non possa che fare bene a tutti coloro che lavorano in questo settore, traduttori o agenzie che siano.
A presto
Giuseppe
Grazie Giuseppe. Sì, direi che siamo arrivati alla fine: ed è stato un discutere piacevole e interessante, mi sono reso conto meglio di un punto di vista differente dal mio. Grazie.
Sul “donabbondiano quieto vivere” vorrei risponderti questo: io la mia parte pubblica l’ho fatta, con il libro, gli interventi su Langit, le conferenze eccetera. Ora il tempo è passato – 15 anni sono letteralmente volati – e altri argomenti attirano di più il mio interesse. E non la ritengo una colpa! 🙂
In ogni caso, chi vuole rendersi davvero conto di come stanno le cose ha tutti gli strumenti per farlo. E quindi, come direbbe Nelo Risi:
Chi vede il mondo come un ospedale
non può che viverlo da ammalato
(l’ha detto Goethe) e il suo malanno
allora l’avrà voluto.
Grazie
Gianni
Bellissima. Non lo conosco bene, Nelo Risi, ma condivido.
Ma quale colpa, figurati. Che tu il tuo l’abbia fatto non si discute. E quindici anni sono un’infinità, però è una questione di fasi, credo, secondo me è giustissimo attraversare una fase più attiva, dare il proprio contributo, e passare il testimone. Tu evidentemente l’hai fatto, e non penso che tu lo rimpianga, e io che sono appena arrivato vorrei attraversare quella fase, e so che alla fase più zen e più salubre, quella dell’ignorare, ci arriverò più tardi. Nel frattempo cerco di fare il mio, e credo solo che abbia poco senso che chi è già arrivato dica a chi sta partendo di non fare il viaggio, no?
In ogni caso, è stata una bella discussione, ho imparato diverse cose, e spero di ritrovarti presto.
Grazie a te
Giuseppe